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  • Immagine del redattoreDott. Gianluca Rizzo

Non solo sole: la vitamina D nell'alimentazione

Anche se la stagione calda fatica ad arrivare, il sole di questo periodo ci offre comunque una radiazione più intensa, la cui forza aumenterà gradualmente fino a raggiungere il culmine in piena estate. Le variazioni della radiazione solare non riguardano solo l’intensità, e quindi l’energia del sole, ma anche l’inclinazione dei raggi, vincolata dalle mutue posizioni di sole e pianeta terra, responsabile di una variazione di tipo qualitativo. In queste condizioni, la nostra pelle è stimolata a produrre una maggiore quantità di melanina, sostanza che favorisce l’abbronzatura, per proteggerci dal foto-danno.

Come si collega questo discorso all’alimentazione?

Nell’immediato, siamo portati a pensare che gli organismi che dipendono dal sole e dalle sue variazioni siano le piante. Effettivamente, parte del ciclo biologico dell’azoto prevede che le piante incorporino questo elemento all’interno di molecole complesse a base di carbonio (molecole organiche) a partire da composti dell’azoto più semplici, precedentemente sintetizzati da batteri e funghi del suolo grazie all’azoto atmosferico. Per operare questo passaggio fondamentale per la vita sul pianeta è indispensabile la radiazione solare che favorisce l’attivazione degli enzimi responsabili di questo processo.


Dipendiamo tutti dal Sole!

Non solo le piante ma persino gli esseri umani sono dipendenti dalla radiazione solare per questioni che riguardano aspetti comportamentali e biochimici. Dal punto di vista fisiologico, l’alternanza di luce e buio regola alcuni bioritmi (ritmi circadiani) responsabili della fluttuazione nella secrezione di vari ormoni nell’arco della giornata. A cambiare con il mutare della luce è anche il nostro comportamento alimentare: la quantità di luce presente in un dato momento della giornata determina infatti un approccio diverso con il cibo. Molti animali si alimentano soltanto in presenza di luce, aspetto che viene sfruttato al massimo negli allevamenti intensivi, che mantengono un’illuminazione costante per una crescita rapida degli animali.

L’atteggiamento dell’essere umano nei confronti del cibo dipende da un comportamento più complesso che lo porta a modificare sia le quantità ma anche la qualità di ciò che mangia e la velocità con cui lo fa. Una luminosità soffusa ci permette di ignorare i segnali di sazietà, mentre colori solari e luci ad alta intensità ci stimolano a consumare i pasti più velocemente. È stata ampiamente provata l’influenza e gli effetti che la presenza o l’assenza di luce hanno sulla psiche, come mostra l’insorgenza di disturbi comportamentali nei paesi nordici soggetti a lunghi periodi di buio.


L'estate è il momento decisivo per fare rifornimento di Vitamina D

L’ascendenza che il sole ha sull’uomo non si riduce a questo: perfino l’essere umano attua la sua modesta “fotosintesi”, non per creare molecole organiche ex-novo ma per sintetizzare la vitamina D a partire dal colesterolo. Anche se questa molecola è considerata una vitamina, e quindi essenziale per la vita, non è obbligatorio che venga fornita dall’esterno. La nostra capacità biosintetica è potenzialmente in grado di fornirci tutta la vitamina D necessaria al fabbisogno. Tuttavia, il periodo estivo rimane un momento decisivo per creare le ampie scorte necessarie per affrontare l’inverno. Se durante l’estate, a un ragazzo in costume, è sufficiente una sola giornata di esposizione al sole per sintetizzare il fabbisogno di vitamina D di un intero mese, d’inverno la radiazione solare non ha sempre le caratteristiche qualitative e quantitative per consentire una sintesi efficace. Come abbiamo già accennato, la radiazione non è sempre la stessa e d’inverno, in base alla latitudine a cui facciamo riferimento, esiste un periodo in cui è insufficiente per la foto-biosintesi. Questo periodo è tanto più ampio quanto più ci allontaniamo dall’equatore e ci avviciniamo ai poli: da novembre a febbraio a Roma e da ottobre a marzo a Tromsø (Norvegia).


È inevitabile, dunque, che l’esposizione estiva e la ripetuta esposizione durante il resto dell’anno siano decisive per non farsi mancare le quantità di vitamina necessarie. Purtroppo, però, esistono svariate ragioni che non ci consentono di mettere in pratica questa semplice precauzione: questioni sociali e lavorative ci costringono a trascorre buona parte della giornata al chiuso sacrificando il tempo da dedicare a una sufficiente esposizione; l’utilizzo di alcuni farmaci specifici può portare, in caso di esposizione al sole, a effetti indesiderati con la conseguente tendenza alla riduzione dell’insolazione; i sintomi di alcune patologie infiammatorie in fase acuta possono acuirsi a causa del riscaldamento operato dal sole; l’utilizzo di creme solari per proteggerci precauzionalmente dal rischio di foto-danno comporta una riduzione dell’esposizione diretta. A tali aspetti soggettivi che limitano l’efficacia della sintesi vitaminica se ne aggiungono altri di carattere oggettivo, come la latitudine ed eventi atmosferici o inquinamento che filtrano la radiazione.

In quest’ultimo caso, bisogna precisare che le nostre attività industriali contribuiscono in modo duplice poiché assottigliano la calotta protettiva dell’ozono con conseguente astensione dall’esposizione solare e, di contro, bloccano i raggi utili attraverso emissioni gassose.


Inoltre, essendo la vitamina D una molecola liposolubile, l’eccesso di tessuto adiposo peggiora la carenza, poiché in caso di sovrappeso e obesità la vitamina si diluisce rapidamente nell’adipe di riserva. Non è un aspetto da sottovalutare se teniamo in considerazione la pandemia di obesità nel mondo che colpisce, in modo particolare, i bambini italiani (ai primi posti europei per obesità infantile).

Il ruolo più noto della vitamina D riguarda la sua implicazione nella salute ossea e indirettamente anche nella fisiologia del muscolo che utilizza il calcio per la contrazione. La carenza di vitamina D nell’adulto può portare a sindromi da carenza ossea ma, nei casi più gravi, anche a disturbi muscolari. In età evolutiva, tale carenza si ripercuote sulla normale crescita con manifestazione di rachitismo. Eventi di questo tipo hanno una maggiore prevalenza in inverno che in estate, a dimostrazione dell’importanza della radiazione solare. La biosintesi della vitamina D dipende dalla luce solare per due passaggi biochimici che portano alla formazione di una forma di vitamina D ancora inattiva che può essere depositata in vari tessuti come reservoir in caso di necessità. Quando essa viene trasportata attraverso il torrente sanguigno fino ai tessuti periferici, questi ultimi possono attivarla e utilizzarla in un processo relativamente rapido che non permette di lasciare vitamina D attiva inutilizzata, limitando così gli effetti di tossicità. La vitamina D viene attivata principalmente dal rene ma molti altri tessuti possono operare questa attivazione. Infatti, sempre più spesso vengono scoperte funzioni extra ossee di questa vitamina, tra cui la gestione glicemica, la salute cardiovascolare, la modulazione del sistema immunitario e il funzionamento della fisiologia intestinale. Oltre 200 geni sembrano essere attivati dalla vitamina D e non è escluso che in futuro si possa scoprire che la salute ossea è solo la punta dell’iceberg del suo ruolo.


Ecco perché è necessario fare in modo che la carenza si manifesti il meno possibile e, in caso, che venga recuperata rapidamente.


La vitamina D può essere fornita anche dall’esterno. In alcuni paesi come USA, Canada e in regioni Nord-europee, esiste un programma di fortificazione degli alimenti di più ampio consumo al fine di scongiurarne la carenza. Anche i programmi di integrazione precauzionale sono sempre più diffusi: in molti paesi l’integrazione in gravidanza è fortemente consigliata così come l’integrazione nei lattanti, a causa della bassa concentrazione di vitamina D nel latte materno.

All’inizio del secolo scorso, sia nel vecchio che nel nuovo continente, non era insolito vedere gabbie per bambini appese alle finestre, il cui scopo era di consentire ai piccoli di esporsi all’aria aperta a benefico della crescita e per rinforzare le difese immunitarie. Anche se una simile pratica, scomparsa ormai da circa 60 anni, appare come una delle tante aberrazioni sociali dell’uomo, suggerisce che l’effetto immunomodulante e scheletrico della vitamina D fosse stato involontariamente scoperto.

È comune pensare all’integrazione come a una pratica artificiale ma la realtà dei fatti è che non seguiamo più comportamenti atti a scongiurare la carenza. La supplementazione diventa il modo più sicuro ed efficace per ripristinare livelli adeguati.

È vero che alcuni alimenti (pochi, in verità), come il pesce grasso, possono essere una fonte di vitamina D ma è altrettanto vero che il loro consumo è sempre più ridotto. Infatti, esistono perplessità in merito al possibile accumulo di inquinanti nel tessuto adiposo dei pesci, lo stesso che dovrebbe contenere la vitamina D. Nonostante la credenza comune, latte e latticini sono una fonte blanda di questa vitamina.

Nei vegetali è pressoché assente mentre alcuni funghi spontanei, specialmente se ben esposti a radiazione solare durante la fase vegetativa, possono contenerne quantità consistenti. Nei funghi, la molecola si trova in un’isoforma derivata dagli steroli anziché dal colesterolo animale, il cui potere vitaminico è sovrapponibile alla vitamina D animale. Anche questi alimenti, però, vengono consumati limitatamente. Funghi commerciali come gli Champignon e i Pleurotus sono coltivati al chiuso e, non essendo esposti ai raggi solari, non danno alcun contributo vitaminico.

Escludendo l’insolazione, l’unica alternativa valida è l’integrazione e/o la fortificazione. L’alimentazione, che in linea generale potrebbe rappresentare una fonte naturale di vitamina D, all’atto pratico non è verosimile che ne garantisca la sufficienza. Inoltre, in una fase estremamente delicata come quella della gravidanza una carenza di tale vitamina si ripercuote sulla salute della diade attraverso disturbi dello sviluppo fetale ma anche con esiti negativi in gravidanza e possibili alterazioni fisiologiche nella madre. Ci sono ancora forti precauzioni sull’integrazione in gravidanza che derivano da casi di intossicazione da vitamina D avvenuti in Europa negli anni Sessanta. Oggi sappiamo che tali effetti derivavano da sindrome di Williams non diagnosticata, che comporta un’alterazione del metabolismo della vitamina D con tendenza all’attivazione incontrollata e relativa tossicità. Anche alte dosi sono state più volte verificate per la loro innocuità in gravidanza, proprio per il sistema fisiologico di attivazione renale e periferico. Tuttavia, persistono ancora molte riserve immotivate che pongono un ostacolo notevole alla prevenzione dell’ipovitaminosi gravidica.


Come fare?

Preferire sempre un’esposizione cronica e non acuta, scegliendo gli orari più intensi solo nei mesi meno caldi e preferendo quelli meno intensi nella stagione estiva; esporsi evitando le scottature ma preferendo la dose sufficiente per un graduale ottenimento di un colorito che non sfoci in eritema; valutare, nei mesi invernali, la sufficienza della vitamina D circolante e provvedere alla correzione dove necessario; seguire le indicazioni internazionali per la prevenzione nelle fasce a rischio.


Piccola curiosità: la radiazione solare non opera solo la sintesi della vitamina D ma anche la degradazione della molecola stessa. In questo modo il rischio di tossicità da sintesi endogena risulta impossibile.

 

Dott. Gianluca Rizzo

Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina.  Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.

 

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