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  • Immagine del redattoreDott. Gianluca Rizzo

Le fibre alimentari

Pasta e pane integrali ma anche biscotti, crackers, fette biscottate e cornetto integrali. Cosa sono le fibre vegetali e quando la scelta di un alimento integrale è preferibile a quella di un alimento più lavorato?

Le fibre sono molecole formate da zuccheri non digeribili che compongono varie strutture dei tessuti vegetali. La cellulosa è la più conosciuta ma esistono anche le emicellulose, le pectine, le gomme, l’inulina, i beta glucani, i chitosani, il glucomannano e diversi altri composti tra cui possiamo annoverare anche l’amido resistente.



Dal momento che i nostri enzimi digestivi non sono in grado di digerire le fibre vegetali, per diverso tempo si è pensato che queste ultime potessero essere considerate acaloriche, ossia incapaci di fornire un apporto energetico nella nostra dieta. In realtà, tale assunto è vero se teniamo conto delle secrezioni digestive fisiologiche, incapaci di degradare il legame polisaccaridico che compone le catene di queste molecole. L’amido, per esempio, può essere digerito solo dopo la cottura, ma nelle sue forme più dense e ammassate (amido resistente) non è facilmente aggredibile dai nostri enzimi digestivi e di conseguenza non viene assorbito nei tratti prossimali del nostro apparato digerente.


Tuttavia, molte delle fibre che non riusciamo a digerire arrivano nel nostro colon e svolgono funzioni fisiologiche sicuramente interessanti per il microbiota intestinale, favorendo lo stato di salute e il buon funzionamento dell’intestino. Inoltre, la loro degradazione permette un’estrazione energetica secondaria attraverso l’assorbimento dei sottoprodotti di fermentazione microbica del colon che vengono trasportati per via preferenziale verso il fegato. Oggi, infatti, alla fibra viene attribuita una quota calorica di 2 Kcal, circa la metà degli zuccheri digeribili presenti negli alimenti.



La fibra alimentare può essere classificata anche come solubile e insolubile in base alla capacità o meno di poter essere fermentata nel lume intestinale. Come abbiamo visto, quindi, la fibra solubile è utile per le interazioni che si instaurano con il microbiota intestinale (un tempo chiamato flora intestinale), che ne permettono sia l’estrazione calorica che la prevenzione dai patogeni, la modulazione del sistema immunitario e diverse altre funzioni, sia intestinali che extra intestinali, ancora molto dibattute.

Anche la fibra insolubile, tuttavia, è utile al nostro organismo. Questa permette di aumentare il volume degli scarti alimentari, aumentando il transito intestinale e offrendo, così, un sistema fisiologico di riduzione dell’assorbimento delle calorie del cibo e un accorciamento dei tempi di contatto tra la mucosa intestinale e le possibili sostanze nocive.


Non pensiamo, quindi, alla fibra solo nella sua forma più conosciuta della crusca ma anche nella forma di sostanze gelatinose come le pectine che permettono di ottenere la marmellata attraverso la lavorazione degli agrumi o le confetture dalla lavorazione degli altri tipi di frutta. Molti pensano che l’addensamento della frutta sia un processo dipendente dallo zucchero ma in realtà quest’ultimo serve solo a evitare la deperibilità della conserva. Si possono fare ottime composte attraverso la lavorazione della frutta al naturale.


Detto ciò, la risposta alla domanda iniziale si complica: la scelta di un alimento integrale è preferibile? Se sì, lo è sempre?

Quando si dice “integrale” si presume ci si riferisca a un alimento integro nella sua composizione e quindi poco lavorato. Di norma, un alimento meno lavorato come un cereale (inclusi grano e riso) preserva molte caratteristiche che si perdono inevitabilmente con la trasformazione. Non parliamo solo delle fibre ma anche di sali minerali, vitamine, fitocomposti e proteine. Un alimento integrale permette di beneficiare di più nutrienti mentre un alimento vegetale più elaborato fornisce prevalentemente componenti amilacei e quindi in forma di calorie “vuote”.



La lavorazione dei cereali è stata una grande conquista che ha permesso di conservare più a lungo i prodotti e di renderli più energetici. Queste due caratteristiche si sono rivelate decisive in un’epoca in cui la carenza alimentare era molto diffusa e le disponibilità economiche ridotte. Oggi, l’abbattimento dei costi di lavorazione rende inverosimile la carenza energetica, se non in casi di forte disagio sociale o in paesi a basso reddito.


Dobbiamo dunque fare un passo indietro e riscoprire la cucina povera, quella che si decanta sempre per le sue proprietà benefiche ma che, purtroppo, diventa sempre più un miraggio.

Le fibre, come abbiamo visto, non sono un vantaggio sulla resa energetica in sé dal punto di vista dei componenti nutrizionali quanto per il fatto che la loro presenza aumenta il transito intestinale, riducendo nel contempo l’efficacia degli enzimi digestivi e quindi la capacità di assorbimento dei nutrienti.

Dobbiamo, comunque, fare le dovute considerazioni quando abbiamo di fronte un prodotto trasformato. La sola aggiunta della crusca alla farina (come avviene frequentemente per praticità durante la produzione di pane) non rappresenta un vantaggio nutrizionale rilevante. Ancor meno rilevante è la presenza di una farina integrale in un prodotto da forno come fette biscottate e cornetti, per i quali la farina utilizzata è secondaria rispetto all’impiego di grassi e zuccheri aggiunti.


Un’eccezione nell’assunzione di fibre va fatta per i primi anni di vita in cui, specialmente in un’alimentazione basata sui vegetali, non si dovrebbe apportare un eccesso di fibre per il rischio di compromettere l’assorbimento di nutrienti fondamentali allo sviluppo e alla crescita.

Di recente, alcune fibre fermentabili dalle note capacità benefiche, come i frutto-oligosaccaridi e i galatto-oligosaccaridi, in alcuni casi sembra peggiorino la sintomatologia di alcune patologie intestinali come le malattie infiammatorie croniche e la sindrome del colon irritabile. La loro esclusione dalla dieta pare migliorare i fastidi addominali anche se non influisce sul decorso della malattia. Purtroppo, però, non sappiamo quale sia l’effetto a lungo termine della loro esclusione, per questo la riduzione nella dieta va fatta con le dovute precauzioni.



Da aggiungere inoltre che nella diverticolite spesso si limita l’apporto di fibre per evitare fastidi da iperfermentazione. Tuttavia, è verosimile che l’astensione da queste sia una delle cause dell’insorgenza del disturbo. Anche se qualche volta i legumi o altri alimenti ricchi di fibre ci possono dare qualche piccolo fastidio non demordiamo; è corretto abituare il nostro intestino e il nostro microbiota a gestire tali molecole. L’astensione immotivata peggiora la situazione, non permettendoci di usufruire dei benefici che derivano dal loro utilizzo.


La Società Italiana di Nutrizione Umana consiglia di consumare in età adulta almeno 25 grammi di fibra al giorno. Tale apporto può aumentare in caso di consumi calorici al di sopra di 2.000 Kcal.

Possiamo trovare le fibre nei legumi, nei cereali integrali, nella verdura e anche nella frutta. Proprio per questo, è sempre meglio preferire un frutto intero rispetto a una spremuta o un succo al naturale.

Anche i funghi contengono fibre, a base di chitina, che in seguito a un consumo eccessivo possono provocare fastidi gastrointestinali. Tuttavia, esistono interessanti linee di ricerca che hanno posto l’attenzione su di esse e sulla loro possibile utilità nutraceutica.


 

Dott. Gianluca Rizzo

Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina.  Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.


 

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