Per molti è l’emblema delle diete ipocaloriche perché apporta pochissime calorie ed è ricco di fibre dal forte potere saziante. Da esso deriva il termine “infinocchiare” poiché veniva offerto per ingannare il palato e mascherare il vino di bassa qualità. Infatti, le molecole aromatiche come l’anetolo, presenti nel finocchio, alterano la percezione del gusto (vi sarà sicuramente capitato di bere dell’acqua subito dopo averlo mangiato e avvertire un sentore di anice).
Il finocchio è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Ombrellifere (la stessa delle carote), con una spiccata diffusione nella macchia mediterranea e una coltivazione, dalla tradizione antica, che risale a 5 secoli fa. Il colore bianco del finocchio è dovuto a una tecnica specifica, chiamata rincalzatura, che favorisce lo sbiancamento degli strati fogliari. Anche se siamo più abituati alla versione orticola con grumolo dolce e carnoso, sicuramente derivato dalla selezione dell’addomesticamento durante la sua coltivazione, esiste una varietà selvatica che cresce spontanea e che è molto apprezzata per la preparazione di pietanze tipiche regionali del Sud Italia. A differenza della versione coltivata, il finocchio selvatico (chiamato finocchietto) presenta un fusto fibroso con piccoli germogli e frutti eduli, spesso confusi con i semi.
Anche le foglie (o barbe) sono commestibili e vengono utilizzate a scopo culinario in tutta Italia.
I suoi semi sono oggetto di studio per numerose applicazioni in campo biomedico e fanno parte della medicina popolare, partecipando alla miscela delle 5 spezie cinesi che include anice stellato, cassia, chiodi di garofano e pepe di Sichuan a uso culinario. In fitoterapia, l’uso di estratti o infusi ha visto nel tempo l’applicazione per le possibili funzioni galattagogo (produzione lattea), diuretica, antiemetica, antispasmodica, antinfiammatoria, carminativa (aiuta a eliminare i gas) e digestiva. Tuttavia, non dobbiamo sottovalutare il fatto che le funzionalità attribuite ai vegetali da parte della medicina popolare non vedono sempre un corrispettivo nella letteratura scientifica, rimanendo non confermate.
Di certo, il suo consumo contribuisce all’apporto di liquidi, essendo composto per il 93% di acqua, e favorisce indirettamente le funzioni digestive e urinarie, a fronte di apporti energetici trascurabili (13 kcal per 100 grammi). I semi, invece, contengono il 15% di proteine e il 40% di fibre con un apporto calorico di 324 kcal per 100 grammi (non facili da consumare). Nelle guide ministeriali sono attualmente elencate le seguenti applicazioni fisiologiche: funzione digestiva, regolazione della motilità gastrointestinale ed eliminazione dei gas, drenaggio dei liquidi corporei, contrasto dei disturbi del ciclo mestruale, fluidità delle secrezioni bronchiali.
Se diamo uno sguardo alla letteratura scientifica, notiamo che esistono evidenze circa l’utilizzo di preparazioni di finocchio per ridurre le coliche nei bambini, senza apprezzabili effetti avversi. Tuttavia, i dati andrebbero ulteriormente confermati, tenendo in considerazione la difficoltà di isolare i risultati da altri fattori confondenti. Attualmente questo tipo di impiego non è consigliato dalle associazioni di pediatria a causa dalla possibile tossicità delle componenti, sottovalutabili nell’adulto ma fonte di preoccupazione nei lattanti, a causa del peso ridotto. Nei neonati sotto i 6 mesi l’unico alimento o bevanda dovrebbe essere il latte materno. Sono state individuate molte applicazioni potenziali per l’anetolo, che può costituire il 60% dell’olio essenziale di finocchio, tra cui effetti antineoplastici, antinfiammatori, antidiabetici, gastroprotettori, ansiolitici e neuroprotettivi. Anche in questo caso, però, i dati sono scaturiti principalmente da studi in vitro e modelli sperimentali e, se pur promettenti, sono insufficienti allo scopo di definire un reale campo d’impiego.
Per quanto concerne l’effetto galattagogo, l’azione farmacologica dell’anetolo, come antagonista della dopamina, ha stimolato la ricerca basata sulla possibilità che gli estratti di finocchio possano ridurre l’effetto della dopamina stessa sull’abbassamento dei livelli di prolattina. Si tratta di dati che devono essere ancora confermati con studi clinici rigorosi. Allo stesso modo, nonostante numerosi studi al riguardo, non è possibile individuare un effetto benefico del finocchio nella regolarizzazione del ciclo mestruale. Di contro, emerge sempre più convincente la possibile applicazione dei derivati del finocchio per fronteggiare i disturbi della menopausa. Esistono infatti numerosi trial che mostrano l’efficacia contro i sintomi comuni e il possibile impiego sui disordini depressivi e sulla qualità della vita in menopausa.
Il finocchio contiene numerosi flavonoidi e antiossidanti tra cui il kaempferolo. Questa sostanza ha più volte mostrato effetti antineoplastici, ma bisogna tenere presente che in natura si trova principalmente in forma di glycoside, incapace di superare la barriera intestinale se prima non viene convertito nella forma agliconica. Inoltre, non è sottovalutabile la quantità finale necessaria per ottenere un effetto reale, spesso non raggiungibile col comune utilizzo alimentare o mediante infusi ed estratti casalinghi.
In cucina è molto diffuso sia la versione orticola che quella selvatica. I frutti e le foglie (sia la barba che le parti carnose del grumolo) prendono parte a preparazioni tipiche regionali. È colto comune anche il suo utilizzo per le insalate, a spicchi in forma di antipasto, gratinato con pane grattugiato o cotto nella salsa di pomodoro o nella besciamella. I semi possono essere utilizzati per la preparazione dei taralli pugliesi o per i finocchini, biscotti tradizionali piemontesi. Non manca l’impiego per la produzione di liquore di finocchietto selvatico, tipico del salernese e di altre zone campane. I semi di finocchio rappresentano uno dei principali ingredienti dell’assenzio (Fata Verde), insieme all’artemisia e ai semi di anice. In India e in Pakistan vengono ricoperti di zucchero e utilizzati per profumare l’alito o come digestivo a fine pasto.
Forse non tutti sanno che:
a dosi elevate i principi attivi del finocchio possono mostrare effetti allucinogeni. Nonostante la tossicità dell’assenzio sia stata attribuita a un componente terpenico dell’artemisia e nella salvia (il tujone), l’anetolo e fenitolo contenuti nel finocchio sono altrettanto tossici, anche se fanno meno scalpore. A parte questo, la preparazione dell’assenzio può essere sicura, se rispettati i semplici criteri di distillazione, evitando così la tossicità delle componenti fitochimiche… ma non quella dell’etanolo!
Per concludere, il nome della città di Maratona, legata ai giochi olimpionici, deriva etimologicamente dal finocchio, pianta molto diffusa nella regione greca. Il finocchio fa la sua comparsa nella mitologia greca anche attraverso il mito di Prometeo, che si dice avesse utilizzato un gambo gigante di questa verdura per portare tra gli uomini il fuoco rubato nell’Olimpo. I guerrieri greci e romani pensavano infondesse coraggio e per questo consumavano gli infusi di finocchio prima delle battaglie.
Dott. Gianluca Rizzo
Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.
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