Simbolo dell’italianità, lo troviamo come condimento principe della pasta e della pizza margherita. Il pomodoro (Solanum lycopersicum) ha ormai attecchito nella nostra cultura culinaria e non ha alcuna intenzione di perdere il suo primato. Si tratta di un alimento dalle molteplici caratteristiche, con una storia interessante, che meritano sicuramente di essere approfondite.
Come ogni tradizione che si rispetti, anche il pomodoro ha avuto il suo fascino esotico in quanto novità importata da lontano. L’ortaggio rosso venne introdotto in Europa a bordo della navi che solcavano gli oceani durante il periodo colonialista; momento storico in cui venne gettato un ponte tra il Vecchio Mondo e l’attuale Sud America, territorio delle civiltà precolombiane. Con il medesimo destino di molte altre coltivazioni, il bacino mediterraneo fornì un clima adatto a rendere rigogliose le coltivazioni provenienti dal Nuovo Mondo. Se per le popolazioni indigene il pomodoro rappresentava una pianta selvatica dall’interesse limitato e soprattutto ornamentale, solo l’importazione nel XVI secolo e la successiva coltivazione in altre terre riuscì a esaltarne le qualità alimentari che oggi conosciamo.
Sembra, comunque, che anche le antiche civiltà Azteche cucinassero i pomodori per ottenere una salsa tradizionale non molto diversa dalla nostra. Come accadde a molti altri alimenti introdotti in Europa, ad esempio il peperoncino che fa parte della stessa famiglia botanica del pomodoro, anche di quest’ultimo vennero lodate le proprietà afrodisiache. Fu con questa premessa che alla regina Elisabetta venne donata una pianta di pomodoro conosciuta come “pomo d’amore”.
Il pomodoro, in realtà, è un frutto a tutti gli effetti: lo conferma il suo contenuto in zuccheri semplici. Non di meno, usato come ortaggio nella preparazione di alimenti salati, dona alle pietanze un contrasto dolce che apprezziamo molto. La pianta di pomodoro fa parte della famiglia botanica delle Solenaceae come i peperoni, le melanzane e le patate. La selezione di queste piante e di altre della stessa famiglia ha permesso di ridurre in modo consistente il contenuto di solanina, una sostanza con una lieve tossicità che non avrebbe permesso l’ampio utilizzo che oggi se ne fa in cucina. Sempre alla selezione realizzata dall’uomo dobbiamo il famoso colore rosso, ottenuto grazie all’isolamento delle piante che producevano pomodori con il colore vermiglio più intenso. D’altro canto, la parola stessa pomodoro (pomo d’oro) non richiama alla mente il rosso bensì il colore giallo, così com’era all’epoca della sua introduzione in Europa. Il perché di questa selezione di colore non è perfettamente chiara ma di certo ha fatto sì che si potessero ottenere dei pomodori con un maggiore contenuto in licopene (dal nome della terminologia scientifica della pianta), che conferisce il colore rosso e rappresenta ormai la componente fitochimica più caratteristica di questo frutto.
Sono numerosi gli studi che vedono il licopene come componente benefico per la salute umana. Esso fa parte di quella batteria di sostanze antiossidanti che la pianta normalmente utilizza per far fronte al forte effetto ossidativo dell’insolazione (in fondo è il loro unico modo per difendersi dalle radiazioni solari, in mancanza di gambe per potersi spostare e mettere al riparo). L’effetto del licopene è tale da controbilanciare i danni del sole sulla pelle e sembra avere, come tanti altri antiossidanti, un ruolo positivo nella rigenerazione dei tessuti connettivi che costituiscono il derma. Non mancano anche le ipotesi di protezione contro le malattie neoplastiche (in particolar modo quelle legate alla prostata), anche se si tratta di un argomento molto complesso e ancora molto poco compreso e lontano dall’essere concluso.
Da quando il pomodoro è entrato a far parte degli alimenti coltivati in Italia, è stato avviato un processo intenso di differenziazione regionale. Così, oggi troviamo numerose qualità di eccellenze italiane come i famosi ciliegino di Pachino, i Cuore di bue, il pomodoro San Marzano di Salerno, il pomodorino giallo del Vesuvio e tanti altri. Non mancano varietà coltivate in altri paesi dall’interesse decorativo come il Long John e numerose varianti di colore bianco, nero, blu, viola, verdi striate, rosa, arancioni, ecc. Tali colorazioni dipendono dagli specifici pigmenti che prevalgono nel frutto. Si distinguono oltre 800 varietà di pomodoro, per forme e taglie differenti, attualmente commercializzate e coltivate in varie parti del mondo.
Ciascuna di queste tipologie presenta impieghi alimentari caratteristici come il consumo tal quale in insalate fresche, sformati, infarinati e fritti in una fase di maturazione incompleta o cotti e passati per la produzione della ben nota salsa di pomodoro. Inoltre, anche se la temperatura spesso è poco amica delle vitamine termolabili, la cottura prolungata della salsa di pomodoro permette di modificare la disponibilità dei carotenoidi, classe di composti di cui fa parte il licopene, che li rende più facilmente assorbibili e quindi più efficaci. Quando la stagione non ne permette la raccolta, e chiaramente vogliamo evitare i prodotti coltivati in serra per questioni ecologiche e nutrizionali, il pomodoro può essere usato come conserva attraverso un procedimento di cottura e abbattimento della carica microbica mediante bollitura dei contenitori stessi sia vuoti che riempiti con la salsa (un procedimento che risale alla metà del XVIII secolo). Il processo permette una conservazione che può estendersi anche per anni. L’essiccazione al sole è un altro metodo di conservazione che ci consente di usufruire del piacere del pomodoro durante la stagione invernale. Va comunque fatta molta attenzione alle condizioni igieniche che è necessario rispettare già prima di realizzare tali preparazioni, per evitare l’inavvertito aumento di carica batterica che ogni anno provoca tossinfezioni.
Il pomodoro è il frutto più consumato e si attesta in seconda posizione tra gli ortaggi, subito dopo la patata.
Piccola curiosità: la prima classificazione botanica del pomodoro fu eseguita nel 1753 da Carl Linnaeus, l’inventore della nomenclatura scientifica attualmente utilizzata nella classificazione. Si deve dunque a Carlo Linneo l’inserimento del pomodoro tra le solenaceae. Circa 10 anni dopo, un botanico scozzese, Philip Miller, contestò la terminologia sostenendo che potesse creare confusione con altre piante come la patata e la melanzana, da cui si differenziava molto. Solo di recente, grazie a tecniche molecolari avanzate, si è potuto dimostrare che effettivamente il pomodoro fa parte della famiglia delle solenaceae, riportando la nomenclatura originale e restituendo dignità al lungimirante Linneo.
Dr. Gianluca Rizzo - PhD - Biologo Nutrizionista Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria
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