Quanto è importante il sale nella storia dell’uomo? Se ricerchiamo le tracce di questo alimento nella lingua italiana, scopriamo che salario è il compenso lavorativo che nell’antica Roma veniva integrato ai soldati con una razione di sale. In Italia esistono ancora le vie del sale, percorsi di comunicazione sul territorio, fondamentali per il trasporto delle merci: una delle consolari principali di Roma è infatti la via Salaria. L’importanza del sale (cloruro di sodio), all’epoca dell’espansione delle città e del suo commercio, non era tanto incentrata sulla sapidità degli alimenti quanto sul ruolo che giocava nella conservazione dei cibi quando ancora non si avevano a disposizione frigoriferi e congelatori.
Il cloruro di sodio ha infatti la caratteristica di essere un composto anidro molto utile per estrarre le componenti acquose degli alimenti e consentirne la conservazione. Ancora oggi, come allora, il trattamento con sale viene utilizzato frequentemente per limitare la deperibilità dei cibi. Nel tempo, tuttavia, la caratteristica di esaltazione della sapidità è diventata il motivo dominante del suo utilizzo, non solo a livello industriale ma anche nell’uso comune.
Sappiamo bene che l’eccesso di sale è strettamente correlato all’ipertensione arteriosa e al rischio di incidenza di malattie cardiovascolari. Ne consegue che la sua riduzione nella dieta è la condotta più efficace per controllare la pressione sanguigna anche se, purtroppo, c’è in questo senso una ridotta compliance. Per giungere all’accettazione di un ridotto tenore di sodio nelle pietanze, si richiede uno sforzo individuale e ripetuto nel tempo affinché i recettori si adeguino alla nuova situazione. In questa fase di adattamento dobbiamo allontanarci dall’idea del piacere edonistico immediato e abituarci a sapori più delicati. Esistono delle opzioni alternative al sale, a ridotto tenore di sodio, ma falliscono nell’ottenimento dell’obiettivo a lungo termine, se non finalizzate al mantenimento della sapidità. Un aspetto da considerare è inoltre quello legato all’invecchiamento, fase in cui i recettori che percepiscono il gusto salato diventano meno sensibili e necessitano di un tenore sempre più alto di sale.
Le problematiche legate al consumo di sale non riguardano solo aspetti specifici legati alla salute ma coinvolgono dinamiche commerciali dalle quali è giusto sapersi difendere. L’utilizzo di sale e altri esaltatori di sapidità nei prodotti commerciali risponde spesso all’esigenza di mascherare la bassa qualità delle materie prime (i comuni dadi per brodo contengono oltre il 40% di sale). Inoltre, è esplosa la mania del sale “colorato” che non apporta nessun valore aggiunto se non quello del consistente aumento del costo per il consumatore. Anche se possono esserci lievi differenze di composizione tra il sale comune e i vari tipi di sale alternativi come quello rosa, quello grigio o quello azzurro, tali discrepanze sono a carico di impurità presenti che non possono avere alcuna influenza nutrizionale, se rapportate al normale utilizzo di sale consigliato. Sugli involucri dei prodotti confezionati, per legge, deve essere sempre dichiarato il contenuto di sale. Per sensibilizzare nella direzione di un consumo parco e consapevole, il Ministero della Salute ha realizzato una campagna ad hoc: “poco sale ma iodato”. È preferibile e consigliato utilizzare un comune sale iodato sia per una questione economica che per garantire il giusto apporto di iodio. Questo elemento è, infatti, fondamentale per il corretto funzionamento della tiroide: un solo cucchiaino di sale iodato (circa 5 grammi) permette un valido apporto senza eccedere con il sodio. Differentemente, altre tipologie di sale non garantiscono una forma biodisponibile di iodio e non favoriscono la prevenzione del gozzo endemico, caratteristico delle popolazioni mediterranee.
Quanto sale consumiamo? Gli italiani superano il 200% del fabbisogno giornaliero. Uno sproposito se consideriamo che il sale è un alimento superfluo e che, già nella loro composizione, gli alimenti contengono sufficienti quantità di sodio per soddisfare tale fabbisogno. In particolare, i cibi di origine animale ne sono particolarmente ricchi, al contrario di quelli vegetali che, se non addizionati con sale, rappresentano una fonte ricca di potassio e povera di sodio. Il potassio facilita l’escrezione renale di sodio e quindi il suo allontanamento. Alla luce di quanto appena detto, un ottimo approccio per la riduzione della pressione arteriosa dovrebbe essere caratterizzato da un comportamento concertato di riduzione delle fonti di sodio e di massimizzazione degli apporti di potassio nella dieta.
Facciamo comunque attenzione ai cibi confezionati, come alimenti surgelati e prodotti da forno, anche vegetali poiché possono contenere alte quantità di sodio e preferiamo sempre le alternative naturali. Se abbiamo l’esigenza di utilizzare alimenti conservati sotto sale (pomodorini secchi, capperi, lupini, ecc.) preoccupiamoci di dissalarli per bene con abbondanti risciacqui e di non aggiungere altro sale nella preparazione.
Abbiamo bisogno tutti delle stesse quantità di sale? Di norma, “meno è meglio” ha valore generale. Esistono, tuttavia, delle particolari condizioni in cui l’apporto di sale deve essere garantito al di sopra delle normali raccomandazioni. È il caso di individui affetti da fibrosi cistica che presentano un difetto genetico a carico di un trasportatore di membrana per il sodio e il cloro con conseguente perdita di tali elettroliti con il sudore. Anche in caso di enterostomie, divergenze del tratto intestinale per isolamento e asportazione di parte dell’intestino, viene meno la capacità di assorbire efficientemente il sodio (funzione espletata principalmente dal colon). In queste circostanze si presenta la necessità di apportare quantitativi di sale lievemente più alti, che possono essere valutati con periodiche verifiche ematochimiche. Anche gli sportivi professionisti, con un carico continuato e cospicue perdite di liquidi, possono usufruire di integrazioni, se pur minime, di sodio. Questo permette di controbilanciare le perdite saline con il sudore e, al contempo, di trattenere maggiori liquidi nell’organismo. Per la partita di calcetto della domenica, vi assicuro che il sale generalmente raccomandato è più che sufficiente.
Nella letteratura scientifica esistono, di contro, alcuni indizi che suggeriscono una ridotta capacità di escrezione renale di sodio in individui obesi. Meccanismo che dipende in parte dalla naturale espansione dei tessuti, inclusi i comparti di liquidi, e dall’effetto dell’insulina come modulatore del riassorbimento di sodio nel tubulo renale. Poiché gli individui obesi hanno frequentemente un’alterazione della tolleranza glicemica, è verosimile che esista un’insulino-resistenza che porta all’aumento di produzione di insulina. Tutto ciò provoca il riassorbimento di sodio e la relativa ritenzione nei fluidi corporei. In caso di obesità, frequentemente correlata anche ad eventi di alterazione pressoria, è necessaria una maggiore attenzione circa il consumo di sodio.
Se consideriamo il suo eccessivo impiego, l’elevata incidenza di malattie cardiocircolatorie e di obesità, diventa imperativo un approccio omogeneo per il ridotto consumo di sale nella dieta. Non si tratta di mortificare il palato ma di mettere in atto quelle azioni che producono abitudini più sane: nel tempo, impareremo ad apprezzare con la stessa soddisfazione gli alimenti che normalmente consumiamo, scoprendo sapori più delicati.
In questo processo, possiamo sostituire il sale con alcune spezie, preferire la cottura al vapore che mantiene la naturale salinità degli alimenti e utilizzare alternative al comune sale, dove necessario. D’altro canto, durante lo svezzamento non utilizziamo il sale negli alimenti complementari proposti ai bambini ma lo introduciamo successivamente per abituarli alla sapidità tipica dell’alimentazione familiare. Non dimentichiamo che un altro approccio efficace può essere quello di ridurre gli alimenti di origine animale e aumentare l’utilizzo di cibi vegetali per favorire sia una riduzione di sodio nella dieta, sia un maggior apporto di potassio.
Pochi anni fa è stato pubblicato un articolo scientifico che sosteneva come l’apporto di sodio nella nostra alimentazione fosse al di sotto delle reali necessità fisiologiche. Meglio non farsi ingannare dalle voci minoritarie che smentiscono anni di validazioni in letteratura e nella pratica clinica. La conoscenza può cambiare direzione, se ci sono sufficienti evidenze, ma questo non può avvenire per un solo indizio che mette in discussione un processo ampio di sedimentazione dell’informazione scientifica.
Curiosità: La salsa di soia è notoriamente un alimento ricco di sodio. È sempre meglio consumarlo con parsimonia, evitare di aggiungere altro sale quando si utilizza e preferire le versioni a ridotto tenore di sodio. Ciononostante, in uno studio clinico è stato evidenziato come il suo consumo non fosse correlato all’aumento della pressione arteriosa. Questo probabilmente perché la fermentazione della soia porta alla liberazione di peptidi con effetto ipotensivo simile ad alcuni farmaci utilizzati per contrastare l’ipertensione.
Dott. Gianluca Rizzo
Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.
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