Quando ci soffermiamo a pensare ai fiori, ci viene subito in mente il loro utilizzo a scopo ornamentale. Ed effettivamente, oggi l’uso gastronomico punta principalmente a un loro impiego decorativo. Tuttavia, considerata la loro storia di utilizzo, relegare i fiori a una funzione meramente estetica può essere riduttivo.
I fiori commestibili fanno parte della nostra cultura fin da tempi antichi.
L’utilizzo in infusione è quello più diffuso e conosciuto: almeno una volta, tutti abbiamo bevuto una camomilla (Matricaria chamomilla) o un tè al gelsomino (Jasminum officinale). Anche l’uso alimentare non è poi così raro: in varie regioni d’Italia è tradizione consumare i fiori di zucca in pastella (Cucurbita pepo), o preparare un risotto con i pistilli di zafferano (Crocus sativus).
Nel trapanese il gelsomino è impiegato per una granita tradizionale conosciuta come “scursunera”, dal gusto delicato e dal profumo floreale e speziato. Nella zona iblea della Sicilia, la “scaccia coi ciuri” è una preparazione con pasta lievitata ripiegata e farcita con fiori di sambuco (Sambucus nigra). Nel palermitano i fiori freschi di sambuco vedono il loro impiego nella panificazione per la preparazione del “Pani cu Savucu”. Altre preparazioni panarie con sambuco sono tipiche di località calabresi e siciliane. Tra i fiori commestibili troviamo certamente quelli delle piante aromatiche officinali come rosmarino (Rosmarinus officianlis), timo (Thymus vulgaris), salvia (Salvia officinalis) e menta (Mentha spp.).
Nei ristoranti non è strano trovare piatti guarniti con fiori di calendula (Calendula officinalis), tarassaco (Taraxacum officinale), violette (Viola spp.), borragine (Borago officinalis) o petali di rosa (Rosa spp.). Anche il crisantemo, l’osmanto e l’orchidea sono spesso presenti come decorazioni per rendere le pietanze più fantasiose e colorate. Oltre a essere decorativi o i protagonisti di alcune ricette tradizionali, i fiori vantano un utilizzo curativo nella medicina popolare: la florialimurgia a scopo medico è presente negli scritti dell’erbario De materia medica risalente al I secolo d.C. L’infuso di Karkadè (Hibiscus sabdariffa), ad esempio, può essere un ottimo rimedio contro i dolori premestruali, evitando così di ricorrere a opzioni farmacologiche.
Come già approfondito qualche anno fa in un articolo che esplorava la fitoalimurgia [LINK INTERNO], la pratica del cibarsi di piante spontanee è radicata nella tradizione popolare e ha vissuto, nella storia dell’uomo, un recupero importante nei periodi di carestia. Oggi, fortunatamente, è poco verosimile che la carenza nutrizionale sia uno stimolo al consumo di piante spontanee, la cui riscoperta è più significativa sotto il profilo culturale.
La storia dei paesi mediterranei, e in particolare dell’Italia, non è seconda a nessuno dal punto di vista delle specie vegetali conosciute e le pratiche erboristiche, dell’Antica Grecia prima e dell’epoca dell’Impero Romano dopo, hanno lasciato tracce di una immensa varietà di vegetali con storia consolidata di utilizzo. Forse per il terreno fertile e il clima mite, adatti alla facile crescita di tante specie, o per l’intensa attività di importazione da tutte le parti del mondo durante l’epoca degli esploratori, vantiamo migliaia di specie botaniche conosciute, con oltre 1.200 specie consentite per la formulazione di estratti vegetali. Di queste, oltre 250 prevedono l’impiego della parte floreale e presentano un’indicazione ministeriale per gli effetti fisiologici attribuibili.
Dal punto di vista alimentare, i fiori hanno una composizione in nutrienti molto simile ad altre parti vegetali e contengono il 70-90% di acqua. La seconda componente nutrizionale in essi maggiormente rappresentata sono i carboidrati che possono arrivare fino al 90% del peso secco. Di questi, circa il 50% è costituito da fruttosio, e in minore quantità da glucosio e saccarosio. Tali proporzioni sono variabili e possono essere di grande interesse nel caso di impiego in infusi. Le specie più ricche di carboidrati fanno parte del raggruppamento delle rose (Rosa spp.).
Le fibre in essi presenti sono ampiamente variabili. Di solito rappresentano una parte marginale dei carboidrati (circa il 3-8%) ma in alcuni casi i fiori edibili possono contenerne fino al 50%.
Anche i lipidi rappresentano solitamente una quota marginale, dallo 0,1% fino a circa il 10% del peso secco. I grassi si trovano principalmente in forma di acido palmitico seguito da acidi grassi essenziali come acido linoleico (omega 6) e alfa linolenico (omega 3). L’ibisco rosa (Hibiscus rosa-sinensis) e la viola del pensiero (Viola x wittrockiana) sono le specie con la più alta concentrazione di lipidi mentre la calendula, il tarassaco e la Rosa micrantha presentano i fiori con il contenuto più elevato di acidi grassi polinsaturi.
La presenza di proteine è molto limitata e non supera generalmente i 6 grammi per 100 g di peso secco. La composizione in aminoacidi dei fiori mostra una prevalenza di leucina, valina e fenilalanina, mentre gli aminoacidi meno rappresentati, e quindi limitanti, sono generalmente la lisina e il triptofano.
Per quanto concerne i minerali, i fiori sono ricchi di fosforo e potassio come avviene spesso per i vegetali. Il crisantemo (Chrysanthemum), il Diantus (Dianthus) e la viola sembrano contenere genericamente le concentrazioni più elevate di sali minerali; il Diantus, in particolare, ha il maggior contenuto di calcio e ferro.
Tra i micronutrienti, le vitamine sono le meno indagate. Quelle idrosolubili (come vitamina C, riboflavina e niacina) sembrano essere più rappresentate nei petali; alcune vitamine liposolubili, prevalentemente i tocoferoli, sono state riscontrate nella frazione lipidica dei fiori più ricchi di grassi, come la calendula.
Nei fiori sono presenti altre sostanze non nutrienti, ma che per le loro caratteristiche di fitochimici possono essere benefiche per la salute, specialmente se estratte e concentrate. Questi composti hanno un ruolo decisivo per la pianta che, non essendo in grado di sottrarsi fisicamente alle minacce esterne, deve difendersi attraverso meccanismi chimici. Così, la carica di antiossidanti è utile a far fronte alla gestione delicata dell’ossigeno e dell’insolazione e le fitoalessine prevengono gli attacchi di insetti, batteri e funghi che potrebbero minacciare l’integrità delle superfici. Tali sostanze si trovano in forma di composti fenolici, come le antocianine, facili da individuare poiché conferiscono spesso i caratteristici colori dei fiori e attirano gli insetti utili per l’impollinazione. Infatti, gli estratti dei fiori conferiscono quantitativamente più composti fenolici rispetto ai frutti o ad altre parti vegetali.
Tra questi composti, quello più caratteristico di calice e petali è il kaempkerolo, un flavonoide dalle spiccate proprietà antineoplastiche che più volte è stato utilizzato in trial clinici come sostanza per il trattamento di varie forme tumorali. Le sue concentrazioni più elevate possono essere riscontrate nei fiori di zafferano (Crocus sativus), cappero (Capparis spinosa) ed eruca (Eruca vesicaria). Altri flavonoidi come la quercitina e la rutina sono presenti nei fiori di viola, ibisco e safora del Giappone (Styphnolobium japonica); tali sostanze sembrano conferire effetti positivi su infiammazione, stress ossidativo, problemi capillari e disturbi metabolici. Alla base di numerose patologie come diabete, demenza, malattie cardiovascolari, sindrome metabolica, tumori, ecc. sembra esserci lo stress ossidativo e questi fitocomposti potrebbero aiutare a ridurlo per prevenire e gestire tali patologie.
È sempre importante fare attenzione al modo in cui la composizione in nutrienti viene espressa in letteratura perché tra peso secco e peso fresco le differenze sono consistenti. Purtroppo i dati sulla composizione nutrizionale dei fiori edibili sono ancora pochi; maggiore è invece l’interesse dal punto di vista nutraceutico e farmacologico, che anche in questo caso evidenzia indizi principalmente in vitro e con pochi dati sull’uomo.
Anche se non ben discriminato, nel fiore si possono individuare parti differenti come il polline che è formato principalmente da carboidrati complessi, il nettare che contiene pure aminoacidi e i petali che presentano la maggiore concentrazione di minerali e vitamine.
Da ben precisare che le piante spontanee sono davvero numerose e per la maggior parte non commestibili e frequentemente velenose. Per questo motivo è necessario stare molto attenti a ciò che si raccoglie a scopo edibile, senza avventurarsi con leggerezza. Per esempio, il Trachelospermum jasminoides, conosciuto come falso gelsomino, è una specie rampicante imparentata con l’oleandro. Nonostante la somiglianza con il gelsomino, contiene un lattice bianco irritante al tatto e i fiori sono tossici. Un altro errore nel riconoscimento dei fiori commestibili è comune nella raccolta di Colchico (Colchicum autumnale) scambiato per zafferano (Crocus sativus). Il nome comune, non a caso, è “zafferano bastardo”, “falso zafferano” o “arsenico vegetale”. La presenza di un noto alcaloide, la colchicina, porta a non rari avvelenamenti, con esiti anche mortali tra i raccoglitori inesperti. Viceversa, il cartamo (Carthamus tinctorius) se pur molto diverso dal fiore dello zafferano, presenta pistilli commestibili che possono essere essiccati e utilizzati come zafferano, con un potere colorante simile ma un sapore meno intenso. Per questo motivo è conosciuto come “zafferano dei poveri”.
Resta, comunque, una pianta nota soprattutto per la produzione di olio a partire dai semi. È interessante notare che se una parte della pianta è commestibile, non significa necessariamente che lo siano anche le altre. I fiori del sambuco, per esempio, sono molto utilizzati in gastronomia ma tutte le altre parti, ad eccezione delle bacche mature (ma non i semi all’interno), sono estremamente tossiche per la presenza di sostanze alcaloidi e cianuro.
I fiori edibili hanno un’ampia tradizione di utilizzo e un buon profilo di sicurezza, se non confuse con le specie non commestibili. Questo le rende un interessante opzione per la prevenzione e la gestione di alcune patologie croniche le cui cure sono spesso con efficacia limitata e con possibili effetti collaterali. L’utilizzo di estratti suggerisce un buon potenziale nella formulazione di integratori a scopo nutraceutico. Nonostante l’entusiasmo, è importante ricordare che i dati disponibili sono ancora pochi ed è necessario uno sforzo della ricerca, non soltanto con l’utilizzo di tecniche di rilevazione più moderne ma anche di trial clinici che ne verifichino la sicurezza e l’efficacia sull’uomo. Molte delle sostanze contenute, per quanto ampiamente studiate, potrebbero non essere sufficientemente biodisponibili e quindi non conferire i benefici desiderati. Inoltre, non è da sottovalutare la quantità finale che si riesce a consumare (qualche petalo in una pietanza è assolutamente insufficiente per trarne benefici rilevanti). Detto ciò, sembra che i fiori non abbiano nulla da invidiare ad altre parti commestibili delle piante e possono rappresentare un valore aggiunto alle nostre pietanze sotto diversi profili.
Dott. Gianluca Rizzo
Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.
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